Un ragazzo d'altri tempi

Sono passata dal tu al lei in due secondi.

Non è da me, solitamente mi succede il contrario ma il sig. Alberto, che ho conosciuto ieri nella sua cantina Conte D’Attimis di Maniago, è un ragazzo d’altri tempi.

Dai modi e dall’eloquio fluido ma regale. La prima cosa che mi venne in mente quando lo vidi, è stato il “voi” con il quale mi rivolgevo alla bisnonna.

Ci troviamo a Buttrio, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli in una cantina che vanta più di 400 anni di storia famigliare, produttiva e commerciale.

18 etichette per 86 ettari a vigneto e 420.000 bottiglie prodotte all’anno. So che questo dato non è indicativo ma più che in ettari io riesco ad immaginarmi la dimensione in bottiglie, che siano magnum o da litro poco importa, che viaggiano per il mondo e rappresentano il Friuli.

Le visite in azienda si fanno previo prenotazione. C’è una vastità di modi per scoprire la realtà della cantina: dai giri in mountain bike al cross-country in jeep ma ciò che vi consiglio vivamente è un tour con un taglio storico-culturale. Quello che ho avuto la fortuna di fare io, almeno in parte. “Le visite non si possono standardizzare”, mi dice Alberto, “perché dobbiamo renderci conto della persona che abbiamo di fronte, dei suoi interessi e delle sue competenze.” “A volte è bello assaggiare solo due vini, durante tutta la visita e concentrarci su questi e sulla loro storia, altre volte i visitatori sono più veraci e curiosi e dobbiamo accontentarli.

Non voglio raccontarvi la storia della cantina, in parte raccontata nel loro sito Conte d'Attimis Maniago perché il racconto si tingerebbe del mio timbro mentre sentirvelo raccontare dal vivo è un’esperienza che vi consiglio di fare. Due elementi, però, mi colpiscono del suo racconto: il fortissimo attaccamento alla storicità della produzione ( “Lascio sempre un filare nei vigneti che tolgo, è un documento naturale importante”) e il vitigno Tazzelenghe (dal friulano “taglia lingua” per i suoi forti elementi tannici). Ne producono solamente 3200 bottiglie all’anno, che vengono consumante per metà in Italia e metà all’estero e, secondo Alberto, questo vino, accanto al loro Picolit e alla Malvasia, è il vero emissario del territorio. Il calice che rappresenta il terreno, la storia, la cultura vinicola della cantina.

La corte nella quale nasce l’azienda vanta una sala degustazione ricavata dalla vecchia stalla, dove ci sono tutte le etichette esposte con i prezzi, in un ambiente architettonico che non nasconde le sue origini, anzi, le enfatizza con un ristrutturazione rispettosa.

Ci lasciamo con uno sguardo alla bellissima dimora storica di famiglia, dove, se siete veramente fortunati, potrete fare l’ultimo assaggio sul tavolo imperiale guardando i quadri degli avi dipinti dagli altrettanto talentuosi avi. Un tuffo in un epoca forse molto distante da quella che stiamo vivendo ma rappresentata in maniera contemporanea, fresca e appassionante anche per chi la sente per la prima volta dalla voce di Alberto d’Attimis di Maniago.

Il saluto finale va alla sua mamma, di qualche anno più giovane di mia nonna ma della stessa epoca e tempra. E, come succede parlando di figli, il discorso sulla famiglia rende ogni conversazione più empatica. Non tanto da ripassare al tu, sia chiaro :-)

Il Tazzelenghe è nella mia programmazione di stappo a Natale.