Il racconto che nutre

Lunedì sera sono andata a Klagenfurt con un’amica e con mia figlia in uno dei ristoranti “consigliatissimi” dai locali. Non ne farò menzione qui, leggerete il mio pezzo su qualche rivista, prima o poi.

Vorrei soffermarmi sulla sala. Se la cucina prepara dei piatti eccellenti e tu, cameriere, non li hai mai mangiati o, peggio, non ne conosci gli ingredienti, questo equivale a togliere nutrimento e giovamento dal piatto.

Ho ordinato un’ottima zuppa di valeriana. A parte il sale che sembra in Austria lo regalino, l’idea era fenomenale. Sento al palato un gusto leggermente affumicato, sicuramente sento della panna acida che qui è parte integrante del concetto di minestra e sento la valeriana.

Chiedo al cameriere gli ingredienti e lui corre in cucina per informarsi. Ritorna, tutto felice, e mi dice che si tratta di valeriana. Grazie, ma il resto?

Ritorna in cucina e torna meno felice per la figura…al mio insistere sul gusto affumicato mi piazza li uno “zucchero di canna” tostato che ha dato croccantezza e bilanciamento al piatto.

Ora, il racconto di questa delizia (credetemi, di minestre me ne intendo ma era veramente di ottimo livello) è stato assente. E’ stato come presentarsi ad un colloquio di lavoro senza CV. Come oltrepassare il confine senza documenti.

Noi viviamo di gusto, certo, ma anche e, soprattutto, di racconto. Viviamo per scoprire ciò che al palato forse sfugge, per sapere, per gustare pienamente del piatto.

Detto questo, lode allo chef.

Anche se da buon austriaco non si è presentato.